La sua opera si ricollega ai miti e alle culture antiche di tutto il mondo, studiando gli archetipi che sono presenti in ognuna di esse e mostrando come siano semplici trasfigurazioni di un mondo invisibile, ma reale e presente.
Stephen Hawking
In qualche modo tutte le culture antiche ne parlano, tranne la psicologia occidentale.
Il ruolo di Hillman è di riportare alla luce questa idea/verità per il benessere della nostra stessa esistenza.
Secondo tale mito, ognuno di noi viene al mondo con un destino predefinito, un’immagine specifica che appartiene all’anima dell’individuo.
Così come la ghianda ha in sé la memoria e il progetto di vita che le consentirà di diventare quell’albero, così ogni persona nasce con un disegno ben definito e chiaro dell’esistenza che verrà a condurre su questa Terra.
Quando nasciamo, dimentichiamo quel progetto.
Ad aiutarci a ricordarlo e a compierlo, ogni essere umano ha un compagno di viaggio, un daimon, una guida.
Tale compagno segreto, che nella cristianità è l’angelo custode, è stato scelto dalla nostra anima prima di incarnarci per avanzare con noi in questa vita.
In qualche modo esso si rivela anche attraverso il carattere dell’individuo, che lo spinge a fare scelte compatibili con la propria missione animica.
In tale visione, il destino e il carattere si intrecciano in una danza che vuole portarci alla nostra verità più profonda.
Il libro ci conduce in un viaggio attraverso varie culture, religioni e filosofie che sostengono lo stesso affascinante concetto, e riporta episodi di diverse biografie di personaggi famosi, rivelando il legame stretto e imprescindibile tra il carattere, la vocazione e il destino di ognuno di loro.

James Hillman riporta l’uomo alla sua essenza, e ci incoraggia a lanciare uno sguardo nel mondo dell’invisibile, perché è fondamentale mantenerci collegati con gli aspetti invisibili della nostra esistenza.
Guardando indietro nella nostra vita, infatti, e osservando tutte le stranezze, coincidenze, incidenti, malattie e problemi che abbiamo affrontato, ci rendiamo conto che oltre alla materia ci sono altre forze al lavoro, e tali forze hanno un compito specifico, quello di guidarci verso il destino che abbiamo scelto.
Goethe diceva che la felicità più grande risiede nel praticare un talento che fa parte della nostra natura.
Come cultura siamo così infelici perché siamo dissociati dai nostri talenti naturali, dal nostro codice dell’Anima.
Siamo avviliti perché abbiamo solo un dio, e questo è l’economia. L’economia è un aguzzino.
Nessuno ha tempo libero; nessuno ha riposo.
L’intera cultura è sotto una pressione terribile, intessuta com’è di preoccupazioni.
È difficile uscire da questa prigione.
Inoltre, vedo la felicità come la conseguenza di ciò che fai. È impossibile cercare d’ottenerla direttamente.
Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada.
Alcuni di noi questo qualcosa lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono.
Questo libro ha per argomento quell’annuncio.
O forse la chiamata non è stata così vivida, così netta, ma più simile a piccole spinte verso un determinato approdo, mentre ci lasciavamo galleggiare nella corrente pensando ad altro. Retrospettivamente, sentiamo che era la mano del destino.
Questo libro ha per argomento quel senso del destino.
Tali annunci, tali sensazioni determinano una biografia con altrettanta forza dei ricordi di violenze terribili; solo che quegli enigmatici momenti tendono a essere relegati in un angolo.
Le nostre teorie, infatti, danno la preferenza ai traumi, e al compito che essi ci impongono di elaborare.
Ma, nonostante le offese precoci e tutti «i sassi e dardi dell’oltraggiosa sorte», rechiamo impressa in noi fin dall’inizio l’immagine di un preciso carattere individuale dotato di taluni tratti indelebili.
Questo libro ha per argomento la potenza di quel carattere.
Poiché le teorie psicologiche della personalità e del suo sviluppo sono così fortemente dominate dalla visione traumatica degli anni infantili, la messa a fuoco dei nostri ricordi e il linguaggio con cui raccontiamo la nostra storia sono a priori contaminati dalle tossine di tali teorie.
È possibile, invece, che la nostra vita non sia determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato ad immaginarla.
I guasti non ci vengono tanto dai traumi infantili, bensì dalla modalità traumatica con cui ricordiamo l’infanzia come un periodo di disastri arbitrari e provocati da cause esterne che ci hanno plasmato male.
Questo libro, dunque, vuole riparare in parte a tali guasti, mostrando che cos’altro c’era, c’è, nella nostra natura.
Vuole risuscitare le inspiegabili giravolte che ha dovuto compiere la nostra barca presa nei gorghi e nelle secche della mancanza di senso, restituendoci la percezione del nostro destino.
Perché è questo che in tante vite è andato smarrito e va recuperato: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi.
Non la ragione per cui vivere; non il significato della vita in genere, o la filosofia di un credo religioso: questo libro non ha la pretesa di fornire risposte del genere.
Esso vuole rivolgersi piuttosto alla sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ognuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia.
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